ANDREA

di Antonio Romano

“Sono stanco di mentire, perché questa è la mia vita.
Sono stanco perché sono quello che sono e nessuno può cambiarmi.
Sono stanco di mentire, perchè voglio che voi vediate veramente chi sono.
Sono stanco, perchè ogni giorno penso che voi non possiate capire.
Sono semplicemente stanco di essere un’altra persona.
Scusatemi, ma sono stanco…”

Rivela Andrea.

Andrea è una donna che abita un corpo maschile. Ha 60 anni, di cui 50 trascorsi insieme alla mamma adottiva. Un legame che l’ha fin troppo protetta da una società contaminata di paure, tabù, reticenze e pregiudizi.

Essere una persona LGBT spesso significa affrontare quotidianamente discriminazioni, giudizi non richiesti se non addirittura violenze fisiche. Benché qualcuno si ostini a parlare di una “scelta”, essere gay, transgender, eterosessuali, bisessuali, o asessuali non significa prendere una strada piuttosto che un’altra. Non si sceglie di essere

“così”, ma si nasce proprio come si è. 

Per Andrea “la normalità non esiste, è solo una favola che le persone si raccontano per sentirsi meglio quando si trovano costretti a riconoscere che la maggior parte delle cose che accadono attorno a loro, non rientra nella loro quotidianità, o appunto normalità”.

La storia di Andrea inizia durante i primi anni ’60: in una culla abbandonata sulla porta di un ospedale. Da lì l’incontro con i suoi genitori adottivi. A 4 anni la mamma le regalò la sua prima bambola. Mentre in Tv Heter Parisi cantava e ballava, insieme a lei Andrea  iniziava a muovere i suoi primi passi di danza.

Gli anni della scuola, non fecero altro che ingigantire la discrepanza sul tema dell’identità sessuale; mentre l’istituzione insisteva nel definirlo “maschietto”, Andrea si sentiva sempre più distaccata ed incompresa. Si rifugiava nel mondo delle sue bambole, continuando a sognare quei passi di danza che la portavano lontano dalla realtà. Oggi afferma, “l’identità sessuale è legata a convenzioni e aspettative: quando un bambino nasce maschio ci si aspetta che cresca e si leghi affettivamente a una donna. Quando nasce femmina ci si aspetta che si leghi a un uomo. È quello che ci si aspetta, per convenzione sociale, per

abitudine, ma potrebbe non essere quello che accadrà.”

Alla protetta infanzia seguì la perdita dei genitori adottivi, che segnò per sempre gli occhi di quel bambino. Un bambino che non ha mai smesso di sognare di raggiungere un altrove, che si è costretto ad una vita impersonale. Una vita spesa a rincorrere la sua identità, alla ricerca di quel qualcuno che sa benissimo di essere.